Già ad ottobre assistiamo ai primi messaggi natalizi, alle prime luminarie e vetrine addobbate ad arte, panettoni ed altre leccornie in bella vista nei supermercati. Ma Natale è a dicembre, in prossimità del giorno 25. Nessuno sa più aspettare. L’albero addobbato prima che la tradizione lo comandi. In alcuni casi, con il presepe, il bambin Gesù nasce prima del tempo. La Madonna per molta gente avrà un parto cesareo anticipato.
Vogliamo tutto prima, anche le feste, per l’ansia di esorcizzare le nostre paure. Vogliamo in conto anticipo l’emozione di una nascita. Eccoci serviti dal “baby shower”: la festa che annuncia il sesso del futuro nascituro, un party con tanto di invitati, regali, buffet e foto da postare sui social naturalmente.
Lo smartphone tra le mani: voglio sapere che fanno gli altri e voglio far sapere agli altri che faccio io. Non domani, adesso. E che facciamo? Niente, stupidaggini: mangiamo, festeggiamo, ci vestiamo, andiamo al mare, al ristorante, in montagna… Ci scambiamo cose da guardare, parole da vedere.
L’attesa è morta, con tutto il bello che ci donava. Le emozioni che ci dava sono scomparse nell’ansia dell’anticipo, nella pretesa di spezzare il tempo e ridurlo in amuleto lenitivo dei nostri affanni banali. E quando il tempo precipita in avanti emozioni, sentimenti e valori vengono travolti da una valanga di connessioni senza produrre relazioni. Diventano merce “santificata” nella liturgia del vuoto.
Le stagioni avevano le loro prerogative, i loro ritmi, le loro nascite, i loro riti. L’ansia di avere tutto e subito, senza distinzione di tempo, è stata soccorsa, simbolicamente, dalle ciliegie a gennaio, dalle fragole a novembre, dal gelato alla panna tutto l’anno.
Non solo nel consumo, ma nella consumazione risiede quel surrogato di emozioni che apparentemente ci fa sentire vivi e liberi nella gabbia di questo scorcio di esistenza. Se non hai denaro, che è la valuta prosaica del tuo tempo di vita, il sistema ti consente di pagare a rate. Mi agito per quella cosa che voglio ad ogni costo, e così rateizzo il mio tempo, destinandolo in gran parte a un oggetto del desiderio. Ci indebitiamo continuamente con il futuro, sottraendo speranza a quelli che verranno. E allora? Riprendiamoci il tempo e capiremo che vivere intensamente non corrisponde a consumare intensamente. Riprendiamoci il tempo e capiremo che indugiare è meglio che precipitare. Ridiamo valore ai significati e affidiamoci alla “buona educazione del cuore”.
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Testo aggiornato di un articolo già pubblicato dallo stesso autore