L’AQUILA. Spalmare i crediti del Superbonus su 10 anni anziché in quattro. È con questa mossa che il governo prova a mettere un nuovo argine all’impatto inarrestabile della maxi agevolazione sul debito pubblico. Stop anche alle deroghe parlamentari, promette il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, che paragona il Superbonus al Vajont: la diga l’abbiamo messa, ma la valanga era già partita.
Immagine che indigna le opposizioni, che lanciano anche l’allarme sui rischi per le imprese. Preoccupazione condivisa dall’Ance e dall’Abi, che avvertono: il provvedimento non sia retroattivo o l’effetto sarà «devastante».
Le novità in arrivo le porta direttamente il ministro partecipando ai lavori della commissione Finanze del Senato sul decreto Superbonus. L’obbligo di spalmare i crediti del Superbonus in 10 anni «non sarà una possibilità ma un obbligo», annuncia ai cronisti al termine della seduta a porte chiuse. Inoltre «gli emendamenti parlamentari, come avvenuto in passato, di ampliamento delle deroghe non saranno presi in considerazione», avverte. Dopo che il governo Meloni è già intervenuto quattro volte (l’ultima con questo provvedimento), serve dunque un’ulteriore stretta. Con un macigno di crediti da bonus edilizi da oltre 219 miliardi (di cui 160 per il Superbonus) che pesa sui conti pubblici, non ci sono alternative. Spalmare i crediti su 10 anni consentirà di estendere l’impatto sul debito dal periodo 2024-27 al decennio successivo, ha stimato l’Ufficio parlamentare di bilancio, «con conseguente riduzione dell’effetto annuo aggiuntivo del periodo iniziale» e «un corrispondente aumento dell’effetto annuo nel periodo residuo 2028-2033». La misura rischia però di avere altre ripercussioni. E solleva già forti preoccupazioni anche in Abruzzo. Presidente di Ance L’Aquila, Gianni Frattale, è infatti caustico: «Ogni volta che il ministro Giorgetti capita davanti a un microfono le imprese italiane cominciano a scricchiolare. E dire che la Presidente del Consiglio Meloni dichiarò che non avrebbe disturbato chi produce», esordisce Frattale.
«La nuova fantasiosa metafora del ministro sul Superbonus 110% paragonato al Vajont, oltre ad offendere le vittime di quel disastro, è l’ennesimo insopportabile prologo ad una azione che il Governo mette in atto ogni due mesi per correggere se stesso e le sue stime sui conti pubblici. Fare impresa con questa classe politica, per restare in tema di metafore», sbotta Frattale, «è come stare su un bus pilotato da una scimmia; la direzione non è mai prevedibile né sicura e le sterzate brusche sono all’ordine del giorno». Arriviamo al dunque.
«Se l’ultimo sciagurato annuncio, che torna a destabilizzare il mercato, dovesse riguardare anche i crateri sismici, significherebbe fermare le ricostruzioni e amputare i bilanci delle imprese, scaricando su di loro una parte del debito pubblico», avverte il presidente dei costruttori aquilani.
«Ci aspettiamo che la premier, che frequenta sempre molto l’Abruzzo in periodo elettorale, venga all’Aquila, la città che l’ha eletta, a illustrarci cosa ha in programma su questi nodi vitali per il territorio. Giorgetti», continua Frattale, «era ministro dello sviluppo economico già dal 2021 col Governo Draghi. Ha avuto tre anni per eliminare questa misura da lui ritenuta nefasta. È paradossale oggi, per noi operatori, subire anche il carico di condanna morale sul Superbonus e il continuo lancio di stracci tra i partiti che passa inevitabilmente sulle nostre teste e sulle famiglie intrappolate in questo caos normativo».
«Sarebbe preferibile ormai che si eliminasse una volta per tutte l’incentivo e non se ne parlasse più», arriva ad auspicare il presidente Ance che dà la stoccata finale.
«Si cerchi per il cratere sismico un metodo migliore e meno politicizzato per compensare un buon contributo che, dopo 14 anni, non ha più i parametri per coprire l’aumento dei prezzi. Si chiama adeguamento Istat. E si smetta di additare l’edilizia come il gorgo infame che ha ingoiato le risorse dello Stato e aumentato il debito pubblico. La misura ha svolto pienamente la sua funzione di ripartenza dell’economia dopo il Covid, poi avrebbe dovuto essere rimodulata. Ma, in campagna elettorale, faceva comodo a tutti i partiti intestarsi la proroga. Guardando bene i fatti, il buco nero si potrebbe cercare altrove, magari tra i conti secretati dell’invio di armi per le guerre in corso. Si tratta di scelte politiche: se si ritengono giuste, bisogna avere il coraggio di rivendicarle invece di propinarci una metafora al mese buona per scaricare le colpe».(l.c.)