L’AQUILA. Debiti delle Asl, il cerino resta nelle mani dei quattro manager. Che finiscono sulla graticola. Da oggi, per i direttori generali della Aziende sanitarie locali, guai a cannare i bilanci. Maggioranza di centrodestra e opposizione del Patto per l’Abruzzo si sono ritrovate in sintonia su questo punto, ma non su tutto il resto. La legge salva-sanità, infatti, è passata alle 20 di ieri in Consiglio regionale con il no compatto del centrosinistra e una crepa in maggioranza proprio sul metodo di valutazione dell’operato dei manager Asl, che dovrà passare al vaglio delle Commissioni Sanità e Bilancio, il cui parere sarà “vincolante”. È questa la parola scelta da Paolo Gatti, presidente della Commissione sanità nell’emendamento da lui proposto, firmato anche dagli oppositori D’Amico, Pietrucci e Mariani, che l’assessore Nicoletta Verì aveva chiesto, quasi implorando, di depennare. Ma il no di Gatti è stato perentorio: una sorta di “commissariamento” dell’esecutivo Marsilio da parte dell’organo legislativo, che in pochi non hanno notato. Ma andiamo con ordine.
La legge taglia debiti, confezionata in tempi stretti per essere portata il 27 maggio al Tavolo di Monitoraggio, sperando che venga accolta per evitare l’onta del commissariamento della sanità abruzzese come è accaduto in Basilicata, prevede l’istituzione di un nuovo capitolo sul bilancio 2024 per la somma di euro 68.593.330.
La giunta regionale ha proposto di utilizzare a tal fine gli incassi 2024 delle imposte regionali Irap e Irpef per un valore di 35.644.029 euro; la restante parte della somma deriva da economie generate dall’avanzo di amministrazione del rendiconto 2022 (13.997.124 euro) e da quote ricavate da trasferimenti da vari capitoli del bilancio dedicati alla sanità (18.952.175 euro).
La legge, inoltre, stabilisce l’obbligo, da parte delle singole Asl, di predisporre piani di razionalizzazione delle risorse disponibili «al fine di garantire l’efficacia, l’efficienza e la sostenibilità dei servizi sanitari offerti». I piani dovranno essere trasmessi al Dipartimento salute della Regione entro 30 giorni dalla pubblicazione. E in caso di mancata approvazione del piano da parte del Dipartimento, la Asl dovrà apportare le modifiche richieste e ripresentarlo entro 30 giorni». Qui si inserisce l’emendamento Gatti: «I piani devono altresì essere trasmessi alle Commissioni I e V del Consiglio regionale, che esprimono parere obbligatorio e vincolante, entro i 15 giorni successivi, ai fini dell’approvazione da parte della Giunta». Che in effetti sta proprio a significare un commissariamento dell’esecutivo. Ma andiamo avanti.
L’aula ha approvato all’unanimità anche un ordine del giorno, proposto dal capogruppo Pd, Silvio Paolucci, e condiviso da tutti i gruppi, che rincara la dose sui manager e recita: «Il Consiglio regionale ritiene che in caso di mancata approvazione di un piano di razionalizzazione di una Asl, questa è tenuta a ripresentarlo entro 15 giorni dalla comunicazione del diniego. In caso di mancata trasmissione delle modifiche, il Dipartimento provvederà a diffidare il direttore inadempiente affinché proceda entro 10 giorni. Qualora il direttore non provveda, la Giunta regionale, su proposta dell’assessore alla Salute, potrà disporre la nomina di un Commissario ad acta, sentite le Commissioni I e V del Consiglio regionale».
Raccontare le tre ore di dibattito in poco spazio sarebbe un’impresa, ma alcuni flash meritano di essere citati. A partire dal minuto di silenzio, proposto dal leghista D’Incecco, per onorare il 32esimo anniversario della strage di Capaci. Verì, poi, ha preso la parola per dire che i disavanzi sanitari sono un mal comune di 15 Regioni; che le cause vanno ricercate nei maggiori costi dovuti al Covid, all’aumento delle spese energetiche, al personale da stabilizzare, mentre le liste d’attesa dipendono da «macchinari obsoleti che però sono stati sostituiti», così come per la mobilità passiva, sostiene l’assessore, «abbiamo già 5 milioni di euro in meno». Ed ha sottolineato che «il nostro problema è stato politico perché abbiamo deciso di non chiudere i piccoli presidi ospedalieri». Ma dall’altro fronte apriti cielo!
Francesco Taglieri, capogruppo 5 Stelle, è intervenuto smontando il “modello Abruzzo”. E il capo dell’opposizione, Luciano D’Amico, ha affermato che «la copertura dei debiti non è prorogabile per gli anni successivi a fronte di un disavanzo che, per ammissione di Verì, è strutturale». Quindi ha elencato i fondi a pioggia della Manovra d’aula dello scorso 28 dicembre «destinati a Trasacco (il paese dell’assessore al Bilancio, Quaglieri) che andavano spesi in altro modo…”.
Ha attaccato Verì anche il consigliere del Pd Sandro Mariani, che è sbottato con un plateale «Voi siete degli asini a fare i conti», beccandosi un richiamo del presidente Lorenzo Sospiri. «Non condivido che si tenga al riparo il lavoro dei dg delle Asl», ha ribadito Paolucci, invocando più rigore nelle valutazioni. E sono poi intervenuti Erika Alessandrini, Verrecchia, Giovanni Cavallari, Antonio Blasioli, Alessio Monaco, Gatti, Ennio Pavove, Emiliano Di Matteo, Antonio Di Marco e Luciano Marinucci.
Con le conclusioni affidate a Marsilio che ha storto il naso sull’ipotesi di una Asl unica regionale. Ma ha anche detto che il sistema va riorganizzato. Dando carta bianca alla Commissione Sanità, cioè a Gatti. Ancora lui.