PESCARA. Sette anni e mezzo a testa per Cosimo Nobile e Maurizio Longo; 2 anni e 4 mesi ciascuno, con il patteggiamento, per Renato Mancini e Fabio Iervese. È quanto ha deciso ieri il gup Fabrizio Cingolani che ha giudicato i due esecutori materiali della rapina al Centro Agroalimentare di Cepagatti dell’11 luglio del 2022, con il rito abbreviato (e dunque con la riduzione di un terzo della pena). Il pm Luca Sciarretta, al termine della requisitoria, aveva chiesto per Nobile e Longo la condanna a 7 anni e 3 mesi, quindi di poco inferiore a quella sentenziata dal giudice. «È una pena che tiene conto dell’aumento della recidiva specifica contestata a Nobile», afferma il legale di Nobile, Massimo Galasso, che assiste l’imputato insieme al collega Luigi Peluso, «una recidiva che aumenta la pena a causa dei precedenti specifici, che avevamo chiesto di disapplicare, ma così non è stato. Leggeremo le motivazioni e valuteremo l’appello». Una difesa molto tecnica viste le chiamate in correità fatte dagli altri due imputati coinvolti nella rapina, accusati di aver fornito un supporto logistico a Nobile e Longo: e cioè Renato Mancini e Fabio Iervese (difesi rispettivamente da Manuel Sciolè e Luigi Immanuel Aloè). Questi ultimi, che proprio per la loro collaborazione hanno ottenuto di patteggiare 2 anni e 4 mesi, negli interrogatori cui vennero sottoposti durante l’inchiesta, confessarono tutto e fecero non solo i nomi dei loro complici, ma anche i ruoli specifici che ebbero nell’esecuzione della rapina. Una rapina che fruttò circa 30mila euro, portati via a una guardia giurata che venne picchiata e alla quale fu sottratta la pistola: stessa arma usata per l’omicidio di Walter Albi e il ferimento di Luca Cavallito nell’agguato al bar del Parco che si verificò qualche giorno dopo (il 1° agosto del 2022 e per il quale sono imputati gli stessi Nobile e Longo, insieme al presunto mandante, il calabrese Natale Ursino). E ieri il pm si è riallacciato a questa parallela inchiesta durante la sua requisitoria: «Il pm», sottolinea l’avvocato Giancarlo De Marco che difende Longo insieme al collega Antonio Di Blasio, «ha fatto dei riferimenti all’omicidio Albi che ritengo non andavano fatti: sono due processi diversi». E gli fa eco l’avvocato Peluso: «È indubitabile che questo processo ha subito un po’ l’ombra di quell’altro processo più importante». Peraltro, i difensori di Nobile e Longo, avevano anche loro chiesto al pm di definire il procedimento con un patteggiamento (intorno ai 5 anni), ma questa possibilità non è stata concessa dalla pubblica accusa.
Ma al di là delle confessioni rese da Mancini e Iervese, che indubbiamente hanno avuto un ruolo importante per la procura pescarese, il magistrato aveva comunque già raccolto molti elementi utili, che hanno trovato il momento più alto, con il ritrovamento di una impronta di Nobile sul casco lasciato dai rapinatori all’interno del Centro Agroalimentare. Un casco che sarebbe stato usato da uno dei rapinatori, per colpire la guardia giurata e che poi venne incautamente lasciato a terra dentro il Centro e che quindi venne esaminato dagli esperti della scientifica che vi rinvennero una impronta di Nobile: più che una prova, una vera e propria firma che ha finito per incastrare Nobile (ieri il solo imputato presente in aula, andato però via prima della lettura della sentenza). Gli inquirenti avevano nel fascicolo ogni particolare di quella rapina: dall’organizzazione, all’esecuzione e persino i particolari di quando, immediatamente dopo il colpo, Mancini, Longo e Nobile si ritrovarono in un appartamento di via Pepe per spartirsi il bottino (a Iervese andarono soltanto 1.500 euro che gli vennero consegnati dopo). Ma sul tavolo di quell’appartamento, oltre ai soldi, c’era anche la pistola sottratta alla guardia giurata che Mancini sostenne essere stata presa dai due, (Longo e Nobile), senza specificare però chiaramente chi. Pistola che, dagli accertamenti eseguiti nell’inchiesta sull’omicidio dell’architetto Walter Albi, risultò essere la stessa arma che uccise Albi e ferì gravemente l’ex calciatore Luca Cavallito che si trovava in quel bar insieme all’amico architetto.
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