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CASTEL FRENTANO. Il confine tra la vita e la morte è una labile linea, e lo è ancor di più se il destino ti porta ad attraversare una guerra. Continuare a vivere o morire ad Auschwitz è questione di una firma in un registro così come accadde alla famiglia Weintraub (Arturo Aron Weintraub, Lea Stern e Rosetta, loro figlia) ebrei arrivati da Trieste a Castel Frentano, paese nel quale c’era un campo di internamento libero. È la stessa Rosetta, nel 2013, in un introduzione al libro “Tempo della memoria, internati a Castel Frentano 1941-1943” a raccontarlo.
«Nel 1943, essendosi fatta assai critica e pericolosa la situazione degli ebrei a Trieste i miei genitori decisero di recarsi a Castel Frentano per vedere se le condizioni di vita erano più accettabili. Presero questa decisione in seguito al consiglio dei signori Nagler, che già erano lì internati. Salo e suo figlio Kubi, erano stati confinati in paese e la moglie Adele li raggiunse da Trieste. Noi arrivammo nell’agosto del ’43 per sondare la situazione. Mio papà aveva intenzione, però, di ritornare a Trieste per sistemare economicamente le cose per poi tornare a Castel Frentano». I Weintraub non erano internati ma ugualmente, ricorda la signora Rosetta: «Avremmo dovuto, al nostro arrivo, andare in Comune e iscriverci penso come stranieri; per fortuna non lo facemmo».
Era la fine di agosto e l’8 settembre, firma dell’armistizio, la situazione precipitò. «Ai primi di novembre del 1943» continua la narrazione «ci fu la retata degli ebrei per opera dei tedeschi. La mia mamma, con grande coraggio e sfidando la sorte, andò a trovare i Nagler nella scuola del paese (ora Municipio, ndc), dove erano rinchiusi assieme agli altri perseguitati. La notte seguente a quella visita andò a dormire: quando si coricò, aveva i capelli castani, si alzò con i capelli bianchi. Quando si dice: incanutire per lo spavento. Siamo rimasti a Castel Frentano fino alla fine del ’44 e abbiamo convissuto la liberazione del paese». Dei diversi ebrei internati a Castel Frentano, ben 16, dopo la retata delle SS, furono trasferiti ad Auschwitz da dove non fecero ritorno.
«Io ricordo pochissime cose perché avevo solo sette anni» prosegue la signora Rosetta «probabilmente tanti ricordi spiacevoli li avrò inconsciamente cancellati, ci sono però alcuni piccoli fatti che ricordo. Ho imparato a lavorare a maglia nelle lunghe sere fredde quando con le donne della casa dove abitavo, stavamo sedute intorno al grande braciere acceso. Siccome non c’erano ferri veri, ci arrangiavamo con le stecche degli ombrelli vecchi. Da loro ho imparato benissimo a fare guanti, calze, maglie, eccetera. Se io sono ancora viva e se i miei genitori furono in grado di vivere fino alla fine naturale dei loro giorni, lo dobbiamo in gran parte al grande cuore degli abitanti di Castel Frentano». (m.d.n.)
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