PESCARA. Sfilata di testimoni dell’accusa nel processo all’ex direttore delle Poste di via Tirino, Enrico Marinucci, accusato di peculato e simulazione di reato. I fatti risalgono al 13 novembre 2021 quando lo stesso direttore chiamò la polizia per segnalare un possibile furto nella cassaforte dell’ufficio. Ma gli investigatori della Mobile intuirono subito che c’erano troppe anomalie e quindi, con l’autorizzazione del pm Anna Benigni, eseguirono una perquisizione nell’ufficio del direttore trovando 30 mila euro: mazzette ancora legate con le fascette della Banca d’Italia. Da lì la decisione di allargare la perquisizione in casa del direttore, dove vennero rinvenuti altri 36 mila euro, con le stesse fascette.
Ieri, davanti ai giudici del collegio c’è stata la ricostruzione dell’ispettrice della polizia Annamaria Grossi che, con l’utilizzo delle riprese delle telecamere, interne al vano dove era posizionata la cassaforte, ha ripercorso tutte le manovre fatte dal direttore dentro quel caveau, con annessi prelievi di mazzette dalla cassaforte e dal tesoretto (un’altra cassaforte dentro quella più grande) e soprattutto evidenziato come, prima che il direttore uscisse dall’ufficio ormai deserto, sia stato fatto saltare l’interruttore della corrente, così da impedire controlli successivi degli investigatori che non avrebbero potuto visionare alcun filmato. La denuncia di furto parlava di circa 170mila euro che, per la procura, l’imputato avrebbe fatto sparire nel tempo. Il motivo di quella messa in scena viene compendiato dal pm Benigni nel capo di imputazione quando parla del reato di simulazione di reato: «…al fine di assicurarsi l’impunità, simulava le tracce di un furto, lasciando aperto già dal pomeriggio del 12 novembre il battente della cassaforte e staccando la corrente al fine di evitare l’alimentazione dei sistemi di sicurezza dell’ufficio, ivi comprese le telecamere di sorveglianza e richiedendo l’intervento della polizia la mattina successiva, ovvero nella data prevista per il passaggio di consegne con l’operatore di altro ufficio postale, in occasione del quale avrebbe dovuto eseguire in contraddittorio il conteggio del denaro e dei valori dell’ufficio». Costretto ad andare in ferie, il direttore, stando all’accusa, si sarebbe trovato scoperto e il suo sostituto avrebbe accertato quell’ammanco salito a 170mila euro.
Di qui la simulazione del furto. Il tribunale ha sentito anche un esperto della sicurezza di Poste che ha spiegato ai giudici le anomalie accertate. Prossima udienza, il 16 aprile con i testi chiamati dalla difesa (avvocato Vincenzo Di Girolamo). (m.cir.)