GISSI. «Volevo solo spaventarla, non ucciderla». Nel cuore della notte, quando ormai sarebbe inutile negare le proprie responsabilità davanti alla valanga di prove schiaccianti che lo sta travolgendo, Flavio Giovanni Meo confessa. Davanti al pubblico ministero e ai carabinieri, l’assassino della sarta Carolina D’Addario si avvale della facoltà di non rispondere, ma rilascia dichiarazioni spontanee. «Quel pomeriggio», racconta il 59enne, assistito dall’avvocato Antonio Ottaviano, «mi è venuto in mente di picchiare una persona». Il tutto per non meglio precisate ragioni. In base alla versione dell’indagato, la porta di casa dell’anziana era aperta; il che è ritenuto possibile, considerando che spesso la pensionata riceveva compaesani ai quali continuava a fare lavori di sartoria, anche gratuitamente. Ma la ricostruzione fornita dall’indagato sul ferimento mortale della donna è piena di incertezze e incongruenze, al punto da diventare inverosimile. «È stata lei a venirmi addosso», prova quasi a giustificarsi l’assassino, cavalcando una tesi che non trova alcun riscontro.
LA RAPINA E LA FUGA
Dopo che Carolina è crollata a terra, Meo ammette di essere salito al piano superiore e di aver forzato un cassetto utilizzando un paio di forbici. Ha arraffato tutto ciò che ha trovato: orecchini, collane, altri monili in oro e, soprattutto, un borsello con dentro denaro contante per un totale di oltre ventimila euro. Poi, la fuga. Prima di tornare a casa, però, l’indagato si è disfatto del coltello con cui ha colpito l’anziana sotto il cavo ascellare dell’emitorace sinistro, procurandole una ferita andata in profondità, con lacerazione del polmone. L’arma del delitto è stata gettata sotto il muraglione del paese: qui, a notte fonda, è stata recuperata da carabinieri e vigili del fuoco.
IL RITRATTO
Fino al momento del fermo, Meo viveva in una casa a Gissi nelle vicinanze di quella della vittima. «Gliel’ho messa a disposizione gratuitamente, come si fa con un amico», dice Florindo Argentieri, un anziano del posto. «A me sembrava una persona tranquilla, un amico che si manteneva con dei lavoretti. Aveva bisogno di aiuto: io gli ho teso una mano e gli ho dato un tetto». Florindo non riesce a nascondere le lacrime: «Lui era rimasto in mezzo alla strada, gli ho anche prestato dei soldini, gli hanno tolto il reddito di cittadinanza e ha perso la testa. Per fortuna, non ha ammazzato me». Secondo il difensore, Meo non si è reso conto della gravità del gesto compiuto, tant’è che – convocato dagli inquirenti nella veste di indagato – ha detto al suo avvocato al telefono: «Ho avuto un impiccio, sto in procura».
IL RACCONTO DEI PAESANI
Al reddito di cittadinanza Meo aggiungeva quello che guadagnava con lavoretti saltuari: a chiamata, curava orti e giardini. «Ultimamente, però, non lo chiamava più nessuno», raccontano in paese. «Nonostante il freddo, andava in giro con magliette a maniche corte. Sembrava chiuso in se stesso, aveva lo sguardo fisso e parlava poco».
OGGI IN AULA
L’udienza di convalida del fermo è in programma oggi a mezzogiorno, in tribunale a Vasto. Meo, assistito dall’avvocato di fiducia CarmineLuigi Masciulli, potrà decidere se rispondere alle domande del giudice oppure avvalersi ancora una volta della facoltà di non rispondere.
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