TERAMO. La Procura distrettuale aveva chiesto condanne complessive per 125 anni per i venti imputati accusati di far parte di un’organizzazione criminale transnazionale specializzata nel traffico di cocaina dalla Colombia in Abruzzo. Della maxi inchiesta, la cosiddetta operazione “Barrik”, non resta niente: in primo grado tutti i venti imputati – tra colombiani, dominicani e italiani – sono stati assolti perché il fatto non sussiste.
Tra novanta giorni il deposito delle motivazioni preannunciate ieri dal collegio presieduto dal giudice Francesco Ferretti (a latere Marco D’Antoni e Martina Pollera) che spiegheranno i perché della sentenza per un procedimento che in aula doveva fare i conti già con la scure della prescrizione che si abbatte sui tempi lunghi dei procedimenti penali. Perché da quei 125 anni complessivi di carcere chiesti per i venti imputati restavano fuori i reati previsti per il traffico di ingenti quantitativi ormai prescritti. La maxi operazione antidroga “Barrik” dieci anni fa portò a 58 arresti per traffico internazionale di cocaina fra l’Abruzzo e il Sud America, con base logistica proprio nel Teramano. Secondo le accuse della Procura un’organizzazione di colombiani così articolata, scaltra e organizzata da far scendere in campo lo scrittore Roberto Saviano che nei giorni degli arresti scrisse su Facebook e Twitter: «L’Abruzzo è diventato centrale come area di stoccaggio della cocaina perché considerato territorio sicuro, isolato e insospettabile. L’operazione ha fermato un’organizzazione colombiana e italiana dei narcos». Negli anni molti di quei 58 arrestati hanno scelto riti alternativi, mentre in venti il rito ordinario. Una istruttoria lunga e complessa con centinaia di testi ascoltati e con la requisitoria affidata al pm della distrettuale Roberta D’Avolio. Per il presunto capo dell’organizzazione Joel Dinato Burgos Nunez la Procura aveva chiesto una condanna a 23 anni, mentre per gli altri imputati dagli otto agli undici anni.
Secondo l’accusa c’erano tre livelli di organizzazione gerarchica: dai capi ai collaboratori corrieri fino a chi vendeva lo stupefacente sul territorio. Per tutti regole ben precise. I corrieri dovevano ingerire almeno trenta ovuli di cocaina ricoperti con cera aromatizzata al cioccolato e al rum per ingannare l’olfatto dei cani agli aeroporti. Il trasporto eccezionale veniva pagato da tremila a quattromila euro. Il pericolo era solo uno: rottura degli involucri nello stomaco. Quattro le rotte scelte per farli viaggiare: Santo Domingo, Madrid, Milano e Giulianova; Santo Domingo, Madrid e Ancona; Bogotà, Roma e Alba; Calì (Colombia), San Josè (Costa Rica), Francoforte, Roma e Alba.
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