Il dinamismo dell’economia abruzzese, oltre al risultato largamente positivo dell’export, viene anche confermato dall’andamento del mercato del lavoro. I nuovi occupati rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente sono pari a 2mila unità, facendo salire a 502mila il totale dei posti di lavoro. La percentuale di crescita è dello 0,5% contro l’1,7% della media nazionale. Tuttavia, va tenuto presente che nel primo trimestre 2023 l’Abruzzo aveva registrato una crescita occupazionale di ben 17mila unità rispetto al 2022.
Il tasso di occupazione sale al 61,6% (60,6% nel 2023) e il tasso di disoccupazione scende al 7,3%, per la prima volta inferiore al dato nazionale (7,7%). Entrambi i valori danno l’idea di una Regione in movimento e di un’economia che è stata capace di affrontare crisi continue e per certi versi devastanti.
IL CIRCOLO VIRTUOSO. La crescita dell’occupazione non va sottovalutata per almeno tre motivi: a) comporta un innalzamento del livello dei consumi delle famiglie; b) offre prospettive rassicuranti per gli investimenti delle imprese; c) allarga la platea dei contribuenti sotto il profilo fiscale. Una sorta di circolo virtuoso che andrebbe a beneficio dell’intera comunità abruzzese. Ecco perché questi dati non vanno interpretati in maniera asettica ma dietro ai numeri si nascondono fatti e riflessioni.
I DUE PUNTI FERMI. La prima considerazione è che l’Abruzzo in questi ultimi anni non si è fermato. La ripresa dell’export e dell’occupazione fa capire come la Regione stia conoscendo una fase evolutiva anche rispetto al periodo pre-pandemia. Molte imprese, anche di modeste dimensioni, hanno portato avanti un processo di ristrutturazione aziendale in sintonia con i cambiamenti espressi dal mercato e dalla competizione internazionale, acquisendo consapevolezza per quanto riguarda la transizione digitale ed ecologica. La seconda considerazione è che l’industria rimane fondamentale per il futuro dell’Abruzzo. È la produzione la vera forza economica della Regione, perché è l’industria che innova, affronta le sfide della competizione, fa ricerca e sviluppo, si confronta con i mercati esteri e proietta la Regione nel futuro. In poche parole, rende l’Abruzzo più moderno e competitivo.
IL VALORE AGGIUNTO. I servizi possono accompagnare questo percorso virtuoso al fine di renderlo ancora più incisivo e perciò capace di generare nuovo reddito e nuova occupazione. La terza considerazione è che appare quanto mai opportuno rafforzare il processo di avvicinamento tra imprese e istituzioni. Il rapporto positivo tra componente politica e imprenditorialità economica contribuisce a produrre fiducia, a superare le incertezze esistenti nel mercato, assicurare il coordinamento delle politiche nel territorio e rappresentare una garanzia per l’intero tessuto socioeconomico.
In tale maniera si dà al localismo un’interpretazione moderna e dinamica, tale da superare un certo dibattito che si svolge dentro i confini del “quotidiano”, per proiettarsi invece sul terreno delle priorità, delle strategie e della progettualità.
I PUNTI CRUCIALI. Ovviamente, l’economia abruzzese presenta delle sfide da affrontare. Con riferimento all’Italia, il Governatore Panetta ne ha indicate alcune che meritano attenzione, ma che si possono estendere anche all’Abruzzo. Si chiamano, per esempio, calo demografico, frammentazione dei processi produttivi, occupazione giovanile, transizione verde e, soprattutto, produttività, il cui aumento consentirebbe anche la crescita dei salari.
In questo contesto, la filiera dell’automotive si trova di fronte a un grosso problema che riguarda la neutralità tecnologica. Per una regione che esporta oltre 10 miliardi di euro, di cui quasi la metà dovuta ai mezzi di trasporto e che contribuisce alla domanda complessiva dell’Abruzzo in maniera consistente, la questione appare di notevole importanza. Un problema che non può essere risolto a livello regionale o nazionale. I singoli paesi possiedono margini di intervento limitati se è vero che bisognerebbe investire circa 800 miliardi all’anno, fino al 2034, per innalzare il tasso tecnologico dell’Europa e, quindi, affrontare le transizioni indicate in precedenza.
NON SOLO REGOLE. Ora, il punto è questo: riconfigurare il tessuto produttivo in chiave sostenibile è una scelta che richiede tempo e appropriate risorse finanziarie. L’industria non può ristrutturarsi soltanto con regole, regolamenti e scadenze. L’Europa sembra essere forte nel regolamentare ogni tipo di attività economica, dall’uso dei pesticidi alla balneazione, dai vincoli verso le banche al debito pubblico, ma è debole sul piano finanziario e della distribuzione delle risorse. L’Europa non può essere attenta solo al rigore dei bilanci e disattenta sulle politiche dello sviluppo. L’Europa deve dialogare con le imprese attraverso un approccio volto alla produzione, alla competizione e alla soluzione dei problemi. La scadenza del 2035 concepita in termini di ultimatum e non di risorse potrà avere risvolti negativi sull’industria regionale e nazionale in quanto l’Europa corre il rischio di restare schiacciata tra Usa e Cina, tra incentivi e protezionismo da una parte e disponibilità di materie prime dall’altra. L’unica risposta possibile e credibile non può che essere quella del debito comune a livello europeo, come è avvenuto nel corso dell’epidemia di Covid, una sorta di Next Generation che si protrae nel tempo e, quindi, in grado di sviluppare crescita e non solo regolamenti. * (economista)
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