TERAMO. Le certezze di un’autopsia consegnano agli atti di un’inchiesta la furia devastante di un omicidio: sono 92 le coltellate che il 49enne Francesco Di Rocco ha inferto al padre Mario, 83enne ex capostazione, morto dissanguato qualche ora dopo l’arrivo in ospedale. A quattro mesi da quella drammatica sera di novembre dell’anno scorso, la consulenza del medico legale Cristian D’Ovidio, di recente depositata in Procura, fissa la dinamica del delitto di viale Crispi. A cominciare dal numero di fendenti inferti tra la parte alta dell’addome, collo e volto. Un delitto consumato in pochi minuti nella cucina del vecchio alloggio che si trova sopra la stazione ferroviaria, dove i due avevano continuato a vivere anche dopo la morte di moglie e mamma, con il figlio che dopo aver impugnato un coltello da cucina con una lama da 25 centimetri ha colpito più volte il padre.
LA VITTIMA SI È DIFESA
L’anziano, secondo la ricostruzione che emerge dall’autopsia, ha provato a difendersi così come testimoniato dai tanti segni sulle mani protese in avanti e ha tentato di allontanarsi cercando di trovare riparo in un altro angolo della stanza. L’anziano, inoltre, sempre secondo la ricostruzione dell’autopsia, avrebbe cercato anche di bloccare il figlio afferrando il coltello con una mano (così come desumibile proprio da alcune ferite riscontrate sul palmo). Secondo l’autopsia 92 coltellate, di cui 74 al volto, inferte con una violenza tale da piegare la sommità della lama. Quella sera a chiamare i soccorsi fu lo stesso figlio con una telefonata fatta al 118. E fu sempre il figlio a consegnare il coltello ai carabinieri, coltello lavato sotto l’acqua e rimesso nella sua custodia da cui era stato sfilato prima della mortale aggressione. È ipotizzabile che, dopo il deposito della consulenza, la Procura (sostituto procuratore titolare del fascicolo Monia Di Marco) possa chiedere il giudizio immediato per l’uomo accusato di omicidio volontario aggravato. Richiesta per cui il codice, in caso di custodia cautelare, prevede possa essere fatta entro sei mesi.
«NON VOLEVO UCCIDERE»
Di Rocco, studente di medicina veterinaria fuori corso, durante l’udienza di convalida, al giudice ha detto che non voleva uccidere il padre e di aver preso il coltello in un momento di rabbia dopo l’ennesimo litigio perché esasperato dall’atteggiamento definito «opprimente» dell’anziano genitore. «Non volevo uccidere», ha ripetuto al magistrato, «non avrei mai voluto fare del male a mio padre anche se per una vita mi ha oppresso. Ho preso il coltello perché volevo fargli capire che non potevo più andare avanti a sopportare. Lunedì sera mi ha rimproverato per gli adesivi sull’insalatiera, ho preso un coltello e l’ho colpito. Il coltello l’ho lavato perché avevo timore che mio padre potesse sgridarmi perché lasciato sporco. Lavavo sempre tutto quello che potevo sporcare in cucina perché lui voleva tutto in ordine».
il no del RIESAME
A dicembre il tribunale del Riesame ha respinto il ricorso presentato dalla difesa dell’uomo, rappresentata dall’avvocato Federica Benguardato, che aveva chiesto gli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. «La descritta dinamica e il fatto che l’aggressione sia avvenuta senza che vi fosse alcun avvisaglia», hanno scritto giudici nel provvedimento, «consentono di ritenere probabili ulteriori allarmanti manifestazioni di violenza omicidiaria nei confronti di altri familiari ovvero di altri soggetti che si trovino a rivolgere al Di Rocco banali richieste che egli non intenda soddisfare. Il pericolo di reiterazione è da ritenersi elevatissimi ove si consideri che l’indagato ha fornito una lettura dei fatti tesa a giustificare il suo operato – contrario ai più basilari sentimenti di umanità e rivolto contro un uomo anziano e non in grado di difendersi – sulla base dei difficili rapporti con il genitore».
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