MONTESILVANO. Il fatto non sussiste. Si chiude così, con l’assoluzione dell’ex dirigente comunale Marco Scorrano e del titolare della ditta Slim che realizzò gli interventi, Alessio Perilli, il caso giudiziario innescato dai lavori di riqualificazione dell’area che nel 2019 ospitò il concerto-villaggio di Jovanotti e che da allora si chiama Jova Beach party. Un procedimento iniziato nel 2019 a seguito di un esposto alla Procura presentato dai consiglieri di minoranza Romina Di Costanzo, Stefano Girosante e Antonio Saccone del Pd, Gabriele Straccini del M5S e l’allora collega dimissionaria, Paola Ballarini, che oggi il dirigente provinciale Scorrano, assistito dall’avvocato Luigi Peluso, sta valutando di trascinare in tribunale.
L’accusa era quella di abuso paesaggistico in concorso perché, stando all’esposto, i lavori di rialzo del lungomare sarebbero stati eseguiti senza i permessi dell’autorità competente. Un fatto che, dunque, non sussiste per il giudice Daniela Angelozzi che ha assolto con formula piena l’ingegnere Scorrano e l’imprenditore Perilli, difeso dall’avvocato Bruno Gallo, dal momento che, per il tratto di lungomare in questione, non era necessaria alcuna autorizzazione. Gli interventi di restyling dell’area Jova Beach, come spiega oggi il dirigente, infatti, «erano stati suddivisi in tre lotti: spiaggia, sede stradale e pineta. Per i primi, abbiamo atteso l’autorizzazione paesaggistica, previo parere della Soprintendenza, prima di iniziare. Per quelli nella riserva, il Comune è ancora in attesa del via libera dal ministero, mentre per quelli sulla riviera, oggetto dell’inchiesta, l’autorizzazione non serviva. Tra l’altro la legge dice che in quel caso l’amministrazione competente ero io, che in quel periodo ero dirigente sia dell’Urbanistica che dei Lavori pubblici, per cui avrei dovuto scrivere a me stesso». Per avvalorare ulteriormente la sua tesi, Scorrano ha presentato prima una relazione a firma del dirigente all’Urbanistica suo successore, Gianfranco Niccolò, in cui lo stesso dichiarava che l’autorizzazione in sanatoria non era necessaria, e poi, per eccesso di zelo, un’autorizzazione paesaggistica in sanatoria a firma dell’attuale dirigente Domenico Fineo, in cui si ribadiva lo stesso concetto. «Finalmente si conclude nel migliore dei modi una vicenda lunga 4 anni», prosegue. «Ho già fatto richiesta dei verbali della commissione vigilanza, troppo spesso utilizzata come commissione d’inchiesta, dove avevo illustrato compiutamente tutta la procedura e descritto, con un linguaggio adatto anche ai non addetti ai lavori, la totale legittimità dell’appalto e dell’opera. Nonostante le articolate delucidazioni fornite hanno ritenuto di presentare una denuncia in Procura a cui i magistrati hanno dovuto dare seguito». Scorrano rivela di aver affrontato serenamente il procedimento «nella consapevolezza che l’operato mio, dell’ufficio e della ditta Slim è stato nel pieno rispetto delle norme».
Ma la vicenda potrebbe non chiudersi qui. «Ho conferito al mio legale», anticipa, «l’incarico di valutare ogni azione nei confronti di chi mi ha accusato pur conoscendo la correttezza del mio operato, sia sul piano civile che sul piano penale. Il gigantismo accusatore deve essere giudicato disvalore e deve essere sanzionato».
Soddisfazione per l’esito dell’inchiesta è espressa anche dall’allora assessore all’Urbanistica, Anthony Aliano: «Chiedano scusa pubblicamente e lo facciano con la stessa enfasi con cui usarono il ruolo pubblico per infangare un dirigente preparato e specchiato che ebbe la sola colpa di voler rendere alla città un’opera meravigliosa. Auspico, a questo punto, sia fatta giustizia anche nelle sedi civili: il ricorso becero alla magistratura per ritorsioni politiche deve trovare la giusta punizione col risarcimento danni».